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- Pubblicato Venerdì, 08 Giugno 2012 08:07
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Attenzione alle ventate di novità preconciliare (Andrea I)
Capita sempre più frequentemente che determinate parrocchie si trovino coinvolte in operazioni di restaurazione preconciliare; queste spinte non vengono dal basso ma dai parroci di turno legati nostalgicamente allo status quo preconciliare. La singolarità è che non si tratta di parroci ultraottantenni richiamati in servizio per tamponare qualche vuoto nello scacchiere delle diocesi ma delle ultime leve che nutrono nostalgie per liturgie che non hanno mai vissuto; per riesumare i rituali preconciliari non hanno frugato nella loro memoria (sono sotto i quarant'anni) ma li hanno studiati (molto diligentemente) grazie alle ricostruzioni su DvD. Molto prima che uscisse il Motu proprio "Summorum pontificum" loro già si preparavano alla eventualità che un gruppo di parrocchiani avesse potuto richiedere la celebrazione in rito tridentino. Dopo il Motu proprio anche se nessun parrocchiano manifesta il pio desiderio del rito tridentino si può procedere comunque allo smantellamento dei segni lasciati dal concilio (riforma liturgica)
- lingua in fuori alla comunione e "in ginocchio!"
- il segno della pace, facoltativo, si può sopprimere
- sparisce l'altare rivolto al popolo
- qualche celebrante recita per conto proprio la consacrazione nella lingua che Dio meglio capisce
- il rito ordinario diventa sempre più simile al rito straordinario, per dirla con la terminologia del motu proprio
- in conclusione: se si vuol dare particolare significato a una festività come quella dell'Assunta ... Messa solenne in rito tridentino con tanto di canonici e chierici venuti da molto lontano.
Che tale liturgia risulti poco coinvolgente l'hanno ammesso in molti (tra gli stessi parrocchiani felici di avere ottenuto la novità che altrove è osteggiata - come lamentano i siti tradizionalisti); ma ciò che sfugge ai più è che tale obiettivo (quello del non coinvolgimento) non è affatto casuale. La liturgia preconciliare ripropone la visione teologica medievale che la ispira: in essa per "Santa Chiesa" si intende essenzialmente il clero (papa, vescovi e sacerdoti), unico depositario del sapere e fedele interprete del messaggio divino; ad esso (il clero) si contrappone un laicato (i fedeli) che ha bisogno di essere sempre imboccato e accetta, senza rielaborarle minimamente, le verità proposte. Ma ad essere il più penalizzato in questa visione teologica non è il laicato che deve comunque lottare per recuperare una presenza più da adulto nella Chiesa, ma chi viene tradito maggiormente è Dio stesso. L'immagine che si trasmette con certe celebrazioni è di un Dio che si bea di incensi, di segni di croce ripetuti compulsivamente, di genuflessioni, di gesti meticolosi, dove pare che tutto si compia in forza di un ritualismo osservato nei minimi dettagli. Un Dio-divinità da placare e da incantare con simili liturgie somiglia ancora al Padre sereno che ci ha mostrato Gesù?
Risponde Michele:
Il Concilio Vaticano II parlò della “actuosa participatio”
questa viva partecipazione significa partecipazione cosciente, libera, credente, responsabile e fruttuosa. Davanti alla parola di Dio e l'Eucaristia, l'uomo viene sollecitato a dare la suprema risposta; non può schivare il cuore, né addormentare lo spirito, né stare presente col corpo e stare assente con lo spirito nella celebrazione, né assistere distratto all'avvenimento della grazia. Il partecipare non è la stessa cosa che intervenire, si partecipa anche ascoltando e col silenzio: l'accoglienza e anche lo stesso silenzio è agire. La partecipazione attiva nella liturgia deve condurre i partecipanti a pregare secondo la forma della preghiera cristiana ,"a non parlare soltanto tra noi, ma con Dio, perché in questo modo parliamo anche meglio e più profondamente con noi... si richiede di rivendicare il silenzio difronte all'invasione di parole (Benedetto XVI)".
Il silenzio rende possibile la calma, la calma dove l'uomo si appropria dell'eterno. Si richiede che la partecipazione liturgica includa l'educazione per l'interiorizzazione (Card. Canizares, Prefetto Congr. Culto Divino. "La vera crisi della Chiesa di oggi è dovuta al crollo della liturgia"(Benedetto XVI). Il nostro mondo, nessuno lo può negare, è segnato da una profonda crisi di Dio, anche le più piccole comunità religiose sono segnate da una forte secolarizzazione, perciò il Santo Padre chiede a tutti i credenti di ravvivare e rafforzare il senso e il genuino spirito della Sacra Liturgia nella coscienza e nella vita della Chiesa, cosa che è urgente e che incalza come nessun'altra cosa. Sappiamo bene tutti che la Chiesa è comunità e perciò sappiamo anche che tutti i fedeli cristiani avranno vigore e vitalità solo se vivono della liturgia, se si abbeverano a questa fonte perché così vivranno di Dio stesso. La liturgia ci indirizza a Dio, il soggetto della liturgia non siamo noi (questo è un concetto conciliare, non preconciliare), è Dio. La liturgia significa prima di tutto parlare a Dio, parlare di Dio, significa presenza e azione di Dio, significa glorificare Dio, lasciare agire Dio come dice il Vaticano II:"Nella Liturgia viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati" (Sacrosanctum Concilium 7). La Chiesa stessa e dunque la fede di ognuno per sua natura scaturisce dalla missione di glorificare Dio che è irrevocabilmente legata alla liturgia, la cui sostanza è la riverenza e l'adorazione a Dio. Certo, una certa crisi e mentalità progressista ha inciso in modo forte nella liturgia e nella Chiesa dagli anni dopo il Concilio fino ad oggi e questo è dovuto, come sosteneva anche lei, caro Maestro Andrea, al fatto che molti liturgisti, ma mai il magistero della Chiesa, hanno posto al centro l'uomo e non più Dio e l'adorazione a Lui dovuta. Il Santo Padre, al quale tutti dobbiamo obbedienza se vogliamo stare in comunione nella Chiesa ha parlato della "riforma della riforma" che dice deve essere anzitutto un processo educativo che conduca, nell'ambito di tutta la Chiesa alla rationalis oblatio(Rm 12, 1):"non abbiamo bisogno di forme nuove per derivare verso l'esterno, bensì di una formazione e di una riflessione, di un approfondimento mentale senza il quale qualsiasi celebrazione degenera rapidamente in blanda esteriorità e attivismo"(BendettoXVI) In questo senso tanti sono stati negli ultimi anni i pronunciamenti dei S.Pontefici, di Giovanni Paolo II l'Enciclica"Ecclesia De Eucharistia", l'istruzione"Mane nobiscum Domine" e di Benedetto XVI"Sacramentum caritatis" e il Sinodo sull'Eucaristia, il motu proprio "Summorum Pontificum". Negli ultimi decenni forse vi è stato un cambio nelle forme, una riforma, ma non un vero rinnovamento come richiedevano i Padri conciliari:"a volte, sono stati fatti cambiamenti solo per il gusto di cambiare rispetto a un passato percepito come totalmente negativo e superato (o medievale, come diceva lei), concependo la riforma come una rottura con la grande Tradizione (A.Canizares pref. Culto Divino). Il Santo Padre promuove un rinnovamento profondo nella liturgia della Chiesa, perciò è necessario attingere al suo insegnamento prestando obbedienza alla sua autorità . Come il S.Padre confessa nella Sua biografia: "così come avevo compreso il Nuovo Testamento come anima di tutta la teologia, in modo simile ho compreso la liturgia come fondamento della vita, senza la quale la teologia finirebbe per marcire, perciò, ho considerato all'inizio del concilio, la traccia preparatoria della costituzione sulla liturgia come punto di partenza per quella assise ecclesiale. Non ero in grado di prevedere che gli aspetti negativi del movimento liturgico sarebbero tornati con più grande forza, col serio rischio di portare la liturgia direttamente all'autodistruzione"(B XVI).Perciò credo che tutto quello che lei vede come un ritorno al passato, come un clericalismo della liturgia, come una gestualità complessa, non sia altro che un tentativo certamente imperfetto, di attualizzare ciò che il S.Padre chiede a tutta la Chiesa, perché nella storia esiste uno stretto rapporto tra “lex credendi e lex orandi”, perciò per conservare, con integrità e purezza, la fede della Chiesa tramandataci da millenni nelle preghiere e nei riti liturgici sia necessario stare con il Papa e sotto il Papa e recuperare il nesso che esiste tra la fede della Chiesa e la sua vita liturgica nella quale la Chiesa stessa realizza la sua fede. La mancanza di chiarezza, che il postconcilio ha creato nella relazione tra gli ambiti dogmatico e liturgico, secondo me è il problema centrale della riforma postconciliare."Possiamo tutti renderci conto come frequentemente ci sia un profondo disaccordo tra l'essenza della celebrazione liturgica, la sua origine, i suoi ministri e la sua forma più adeguata"(Canizares). "Dietro i modi diversi di concepire la Liturgia esistono modi diversi di concepire la Chiesa e, pertanto, Dio e le relazioni dell'uomo c on Lui (B XVI). L'argomento della liturgia non è assolutamente marginale: è stato il concilio a ricordarci che qui tocchiamo il cuore stesso della fede cristiana"(B.XVI).La liturgia manifesta il primato di Dio; uno dei problemi più profondi, invece, è che oggi l'uomo concepisce se stesso come artefice supremo non lasciando a Dio d'essere Dio. È necessario, come dice il Papa una nuova coscienza liturgica per far sì che sparisca quello spirito di artefice supremo che ha portato addirittura all'estremo che gruppi liturgici si autocostituiscano liturgia domenicale o parrocchiale. Ma questo non significa incontrarsi col Sacro che mi viene donato, bensì con l'abilità e la fantasia del gruppo, del movimento delle persone. La Liturgia invece, anche nella sua gestualità che può sembrare meccanica all'occhio dello sprovveduto secolarizzato, costruttore del suo culto a Dio, è invece una finestra che si apre sul cielo, che contempla la gloria del paradiso, che ricopia ciò che le Scritture ci dicono che la corte celeste offre a Dio come culto a lui gradito. è vero che la maggior parte del clero non ha seguito il Papa in questa Sua volontà di rinnovare la riforma, è vero che solamente il clero più giovane, che non ha vissuto la liturgia preconciliare sembra essere più attratto ad essa, ma è vero anche che questo clero più giovane, che ormai è anche il più numeroso, ha il cuore più libero dai condizionamenti autosufficienti e anticlericali del '68 e degli anni turbolenti del postconcilio che hanno visto il S. Padre Paolo VI ridurre allo stato laicale ben 18.000 sacerdoti.
Andrea (II)
Ci serve un Dio che serve, o abbiamo paura di Lui?
Ci fa più paura un Dio che serve o un Dio che si comporta da padrone?
Perdura in me l'emozione di un brano del vangelo di Luca proposto dalla liturgia qualche settimana fa grazie anche al fatto che ho letto in internet un commento di padre Ermes Ronchi "La bellezza di un Dio che si fa servo". (collegamento)
Per fortuna la lettura è stata fatta in italiano e da un diacono rivolto all'assemblea, grazie alla riforma liturgica postconciliare.
Ma torno subito alla domanda: Ci fa più paura un Dio che si fa servitore o un Dio che spadroneggia? Forse ci fa più paura il Dio servitore, Gesù che inventa la liturgia della lavanda dei piedi, di un Dio che tutto osserva dalla sua corte celeste e si gratifica con gli ori e i nastrini delle nostre liturgie terrestri. La nostra liturgia riflette la nostra disposizione d'animo che abbiamo nei confronti di Dio: non c'è dubbio che lo preferiamo padrone quando la liturgia è tutta rivolta a Lui che è a oriente e non in mezzo al suo popolo mentre cura le ferite di ciascuno e sorregge le speranze (le stesse che suscita la liturgia compresa, partecipata). Un Dio padrone giustifica poi un certo spadroneggiare delle coscienze da parte di chi si sente investito dei poteri divini del Dio padrone.
A quanti cristiani manca la gioia di servire un Dio che serve? Concludo insieme a Padre Ermes:
"L'uomo diventa ciò che ama. La fede avanza per scoperta di tesori, non per doveri. La vita cresce non per obblighi o divieti, ma per una passione, e la passione nasce da una bellezza. La bellezza di un Dio così fa avanzare la mia fede. Un tesoro di persone e di speranze è il motore della vita. Sufficiente a mettersi in viaggio verso Colui che ha nome amore, pastore delle costellazioni e pastore dei cuori, che ci metterà a tavola e passerà a servirci, con tutta la gioia di un padre sorpreso da questi suoi figli, questo piccolo gregge, coraggioso e mai arreso, che veglia sui tesori di Dio, che veglia fino alle porte della luce."
Replica Michele (II)
"Ci serve un Dio che serve...la nostra liturgia" dice lei. Rimane impossibile un confronto e non ci può essere dialogo se almeno non si riconosce che la liturgia è il culto pubblico della Chiesa,culto che viene offerto da Cristo al Padre e del quale noi siamo resi partecipi per Sua misericordia.Credo che Dio non abbia iniziato a curare le ferite del suo popolo a partire dalla riforma liturgica o da quando il sacerdote si è rivolto al popolo.La liturgia è il culto pubblico della Chiesa, le sue personali opinioni o quelle dei liturgisti su come il diacono possa leggere il Vangelo, o sulla liturgia rivolta ad oriente che per lei dipinge una chiesa con un Dio padrone sono e rimangono opinioni personali, ma non costituiscono la linea che il Santo Padre ha indicato alla Chiesa e, perciò, si può dire, non sono il pensiero della Chiesa cattolica sulla liturgia...possiamo fare, certamente, un dialogo interreligioso, perchè di due diverse religioni si sta parlando,l'una con una liturgia che ha al centro l'uomo(con ciò che capisce o non, con ciò che gli piace o non, con le sue impressioni) e l'altra, quella della Chiesa,che vuole avere al centro Dio (ed io vorrei essere portavoce del pensiero di questa Chiesa senza punti di vista personalistici). occorre ripartire dalla fede,dalla vera fede, che è adesione a Cristo ed è adesione anche alla Chiesa e al Papa, soprattutto quando egli si pronuncia su temi di fede e di morale; è la Chiesa, il Papa che ti dicono che la tua fede è vera. Semmai credo che dovremmo riscoprire anche la bellezza della liturgia con il rito antico che è anche esso culto pubblico della Chiesa, che è tesoro di questa Chiesa, riscoprire la sua bellezza senza appiccicargli giudizi personalistici e che dimostrano piuttosto l'ignoranza sui significati che ogni gesto ha, anche quello, ad esempio, del Diacono che canta il Vg rivolto a sinistra: ricorda che l'annuncio del Vg della Verità è rivolto prima di tutto a chi sta nelle tenebre ed è lontano da Dio.Questa è la liturgia della Chiesa, ci vuole un pò di fede per riuscire a pregare anche con quel rito e un pò di umiltà per accettare il fatto che non possiamo capire tutto difronte a Dio(a mio giudizio è questa la condizione migliore per un vero abbandono a Dio ed una vera partecipazione).Indubbiamente ci sono delle difficoltà per riuscire a veicolare quanto meglio anche questa "nuova" forma, ma pian piano e, sempre, ad maiorem Dei gloriam si fa quel che il Papa che Dio ha riservato per questi tempi ci ha indicato e ci indicherà .
Andrea (III)
La "liturgia è per l'uomo" fa rima con "il sabato è per l'uomo"
... ma ciò non significa che al centro della liturgia si pone l'uomo e non Dio, ma semplicemente che la liturgia deve essere vissuta dai credenti, "come culto pubblico della Chiesa" certamente, ma anche capìta in tutto ciò che essa vuole significare compresi i simboli e la Parola. Assistere a un rito senza capire non è umiltà ma è ignoranza che non sempre è imputabile al fedele che non capisce ma all'astrusità del rito stesso. La riforma ha voluto ovviare a questa situazione legata al vecchio rito: non è il frutto di una improvvisazione ma è stata realizzata in un arco di tempo abbastanza vasto con fasi di sperimentazione che possono aver indotto anche qualche sbandata; sicuramente è ancora perfettibile proprio perché le forme cambiano, non come mode ma come risposte al fatto che l'uomo cambia nel tempo e nello spazio. Col Concilio la Chiesa si è proposta di parlare all'uomo concreto (uomo, donna, ragazzo, bambino, africano, asiatico) e non a un ipotetico uomo che, per deformazione prospettica, risultava dover essere occidentale, esperto di lingue classiche, inserito in una cultura con radici cristiane. Quanto a Dio che cura le ferite ... simpatica la battuta; si potrebbe rispondere che a un certo punto ha dovuto smettere gli abiti del sacerdote e del levita (ordine sacerdotale) e indossare quelli dello scomunicato (il samaritano) per non dover passare oltre ...
GIANNA (Udine)
per collegarmi al dialogo che tu hai aperto sul blog … (ho letto il botta e risposta con il Sig. Michele) Personalmente credo che Dio non abbia bisogno di liturgie … semmai siamo noi che abbiamo bisogno di questo … Dio ha bisogno delle nostre scelte concrete, per piccole che siano … e agli occhi di Dio le scelte per l’uomo fatte da chi dice di riconoscersi
in Lui non possono non essere pari a quelle fatte da chi dice di non riconoscersi in Lui …
La mia amica*** non ha un esplicito riferimento di fede (ma chi può mai dire chi
ha e chi non ha fede?) eppure credo renda omaggio a Dio e dialoghi con Lui,
anche senza identificarlo o chiamarlo per nome, più di tante persone che in tanti momenti liturgici, magari anche rigidamente disciplinati, intendono rendergli omaggio …
Se noi facciamo riferimento esplicito al Vangelo credo che il momento liturgico (per eccellenza e forse l’unico) in cui dovremmo riconoscerci è quello dell’Eucarestia … e dovrebbe essere momento di partenza e di arrivo per la nostra vita … allora perché l’Eucarestia dovrebbe essere un momento rituale e non invece un momento profondamente umano in cui la comunità si ritrova per riflettere e pregare partendo dalla vita per ritornare alla vita?
…
Mi domando perché mai Dio dovrebbe volere l’altare come luogo separato, il
prete che ripete formule biascicate in latino in alto rispetto all’assemblea,
la lingua fuori e non una mano per ricevere l’Eucarestia… e così avanti
…
non credo in luoghi sacri separati… neppure in momenti sacri separati… credo
che il luogo sacro sia l’uomo, qualunque uomo e che il mondo, l’universo sia sacro….
*** amica impegnata in un progetto di salvaguardia di una comunità amazzonica (87 famiglie) minacciata da compagnie straniere in cerca di risorse minerarie